Molti credono che l’offerta alla Chiesa per battesimi, comunioni, matrimoni e funerali sia un gesto volontario. Ma è davvero così? Cosa non sai delle celebrazioni religiose?
Organizzare un evento religioso è un momento carico di emozione. Che si tratti della gioia di un battesimo o della comunione, della solennità di un matrimonio o del dolore per un funerale, la Chiesa rappresenta ancora oggi un punto di riferimento per scandire le tappe importanti della vita. Dietro la sacralità del rito spesso si nasconde una realtà meno poetica, quella economica.
È convinzione diffusa che i sacramenti non debbano essere soggetti a tariffe. L’idea è che la fede non si misuri in euro eppure, al momento di prenotare una celebrazione, la domanda è inevitabile: “Quanto si deve lasciare al parroco?” Alcuni lo chiamano “contributo”, altri “offerta libera”, ma l’effetto non cambia. E se qualcuno si rifiuta di pagare cosa accade?
I sacramenti sono a pagamento anche se si parla di “offerta libera”, in molte parrocchie quell’offerta ha un tariffario preciso, spesso affisso nero su bianco in bacheca e chi non è disposto a pagare si trova davanti a porte che restano chiuse.
Secondo il diritto canonico, nessun sacramento dovrebbe avere un prezzo. La fede è dono gratuito, così come lo è la grazia divina che accompagna battesimi, comunioni, cresime, matrimoni e funerali. Tuttavia, nella pratica ci viene ricordato che “serve un’offerta per la chiesa”, “un contributo per la parrocchia”. Ed è così che, senza dichiarare un vero e proprio obbligo, si crea una norma non scritta, ma ben nota: se non paghi, non celebri.
Le cifre variano da città a città, da parrocchia a parrocchia. Per un battesimo o una comunione, la somma suggerita oscilla tra i 50 e i 100 euro. Per un matrimonio, si sale a 300, 500, talvolta anche 800 euro, soprattutto nelle chiese storiche o particolarmente richieste. I funerali, che per loro natura arrivano in momenti di vulnerabilità, non sono esenti: in media si parla di 150 euro, ma le richieste possono salire. Il tutto, sempre e comunque, sotto la forma di “offerta”.
Il protagonista di questa storia – chiamiamolo Marco, per privacy – ha deciso di non pagare. Di fronte alla richiesta, gentile ma chiara, di un’offerta per il funerale di suo padre, Marco ha risposto che non era nelle sue intenzioni versare denaro. Non per cattiveria, ma per principio: “La Chiesa è un’istituzione spirituale, non un’agenzia di servizi”. Il parroco non ha replicato e non ha negato la celebrazione ma ha cambiato atteggiamento. La cerimonia è stata frettolosa, il tono distante, le parole pronunciate con poca partecipazione.
C’è da dire che molte parrocchie vivono di donazioni. Le spese sono tante: manutenzione, bollette, pulizie, personale. Per alcuni sacerdoti, quelle offerte sono l’unico modo per tenere in piedi una struttura spesso fragile. Eppure, c’è un confine sottile tra richiesta e imposizione. Quando un’offerta diventa condizione, non è più libera.
E allora cosa si dovrebbe fare?Se si sceglie di non pagare ci si può rivolgere a piccole chiese di provincia, comunità più inclusive, realtà che scelgono di vivere secondo i principi evangelici e non pretendono nulla in cambio, sono poche ma ci sono. Dire “no” alla consuetudine del pagamento non è facile, è imbarazzante e crea disagio.
La fede non ha prezzo e chi la cerca non dovrebbe mai essere messo di fronte a un listino ma condannare la Chiesa è ingiusto, la struttura è a disposizione di tutti e ha dei costi che in qualche modo bisogna coprire.
Sicuri di conoscere tutte le spese da detrarre nel modello 730 per non perdere alcuna…
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